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Anteprima - La Melodia Sibilante

Capitolo 1

Una scuola originale

 

Questa sarà una mattinata speciale.

Giulia si stava preparando in tutta fretta per andare a scuola. Era agitata. Il giorno dell’orientamento scolastico era finalmente arrivato e gli studenti delle classi terze dovevano decidere a quale scuola superiore iscriversi.

Per sentirsi più sicura, aveva indossato la sua felpa preferita, quella con la tigre, e i suoi jeans più comodi, anche se erano sbiaditi e consumati.

Si guardò nello specchio mentre si calcava il cappello sulle sopracciglia: era buffa imbacuccata in quel modo, ma a lei non importava. Era freddo e poi sapeva perfettamente di non essere bella. Nessuno glielo aveva mai detto a parte sua madre.

Ma lei non conta, no?

Giulia era alta e magra, aveva una pelle slavata e gli occhi verdi, forse quelli erano la parte di lei che le piaceva di più, ma per il resto…

Alzò le spalle con indifferenza, la scambiavano spesso per un ragazzo e in un certo qual modo ne andava fiera, a lei non piacevano i trucchi, i vestiti e tutte quelle sciocchezze di cui parlavano sempre le altre ragazze.

Lei era un maschiaccio, era forte e non aveva bisogno di nessuno, tanto meno di un ragazzo.

In passato aveva avuto diversi amici maschi, ma ultimamente si comportavano in modo assurdo. Alcuni la guardavano con timore, come se fosse diventata una creatura strana, aliena.

Altri, invece la riempivano di attenzioni, come se improvvisamente non fosse più stata capace di fare nulla da sola.

Maschi!

E poi a lei non piaceva farsi aiutare, nemmeno quando ne aveva davvero bisogno.

«Giulia, hai finito di mangiare?» La voce di sua mamma le arrivò dalla cucina.

Sentiva ancora aleggiare nell’aria l’odore del caffè, lo inspirò e sorrise. Le piaceva l’aroma, anche se non lo beveva, rendeva l’atmosfera mattutina dolce e confortante.

«Sì, mamma.» In realtà aveva lo stomaco chiuso ed era riuscita a buttare giù solo un paio di sorsi di latte.

La scelta della nuova scuola la tormentava e nello stesso tempo la rendeva euforica. Era la prima volta che avrebbe preso una decisione tanto importante per se stessa; avrebbe condizionato la sua vita, almeno per i prossimi anni e lei non aveva ancora le idee chiare.

«Ciao, vado!» Si chiuse la porta alle spalle e si precipitò giù per le scale, “senza nemmeno un bacio” si sarebbe lamentata sua mamma, se avesse potuto.

Giulia non amava le smancerie.

Sospirò ancora pensando alla scuola. Molti suoi compagni avevano preso la loro decisione già da tempo, ma lei no. Non riusciva a immaginare cosa avrebbe voluto fare da grande, come se nel mondo che conosceva non ci fosse nessun posto adatto a lei.

Molto spesso infatti si sentiva estranea a tutto quello che la circondava, come un pesce fuor d’acqua. Era convinta di essere diversa dagli altri, a volte insignificante, invisibile. Credeva che non ci fosse nessuno in grado di capirla veramente.

I suoi professori le avevano consigliato di iscriversi al liceo scientifico, lei, però, non era per niente convinta; avrebbe preferito imparare a fare qualcosa di pratico, ma i suoi genitori non volevano che frequentasse una scuola professionale; probabilmente alla fine avrebbe scelto un istituto tecnico, informatica, ragioneria…

C’era una materia in particolare, però, che le dispiaceva non poter più studiare: la musica. Non c’era nessuna scuola tecnica in cui si studiasse la musica.

Suo padre le diceva: “In fondo, a cosa serve la musica?”

Beh, non so spiegarlo con chiarezza, ma a me serve.

Anche se era una ragazza pratica e molto razionale, Giulia nascondeva dentro di sé un mondo speciale.

Spesso stava lì, con lo sguardo perso nel vuoto, a immaginare di essere qualcun altro: una guerriera, un’eroina forte e coraggiosa che in sella al suo destriero, dal manto nero lucente, correva in aiuto dei più deboli.

La musica aveva a che fare con questo suo mondo immaginario, era sempre stata una presenza costante nella sua vita. Anche se non ne aveva mai approfondito lo studio, sapeva eseguire semplici melodie con il suo bellissimo flauto di legno.

Quando lo suonava aveva l’impressione di poter varcare un velo sottile ed entrare in quel luogo meraviglioso, abitato da persone che l’apprezzavano veramente per ciò che era e non per quello che sembrava. Nel suo mondo speciale lei era la protagonista e non una comparsa insignificante.

Comunque, la professoressa di musica le aveva detto di portare il suo flauto e, strizzandole l’occhio, le aveva sussurrato misteriosa: “Ci sarà una sorpresa…”

 

Più tardi, quella mattina, gli studenti delle classi terze vennero riuniti nell’auditorium. Ci fu un breve intervento del preside. «Ricordate, la scelta che state per compiere è molto importante e condizionerà per sempre il vostro futuro.»

Già, tanto per tranquillizzarci!

I professori si susseguirono uno dietro all’altro dicendo esattamente le stesse cose che erano scritte nei dépliant di presentazione. Per ultima, si presentò la preside di una scuola di cui non aveva mai sentito parlare: Armonia, “Istituto Agrario Alternativo a Indirizzo Musicale”.

Giulia ne rimase incantata, non sapeva perché, ma ebbe la sensazione di conoscerla, o forse le sembrava uno dei personaggi delle sue storie immaginarie.

Era vestita semplicemente, ma emanava un che di regale. Portava i capelli bianchi tagliati corti e dietro ai piccoli occhialini rettangolari brillavano grandi e vivaci i suoi occhi azzurri.

La preside Gloria Orchestri prese la parola. «La nostra scuola prevede una serie di corsi sulla botanica, floricoltura, agraria e allevamento di animali domestici. Prepariamo i ragazzi dando loro insegnamenti pratici su come gestire una fattoria o un agriturismo, con l’utilizzo di energie alternative.» Poi aggiunse con enfasi: «I ragazzi ricevono comunque un’istruzione classica, scientifica e persino artistica studiando anche la musica...»

Giulia trattenne per un attimo il respiro.

Ho capito bene?

Il cuore le accelerò, lo sentì tamburellare nelle orecchie.

Sembra proprio la mia scuola ideale! Devo assolutamente andare ad Armonia.

Alla fine delle presentazioni, il preside si fece avanti. «Invito gli studenti che desiderino avere maggiori informazioni ad avvicinarsi per parlare privatamente con i professori, a ognuno è stata riservata un’aula.»

Giulia vi si precipitò.

«Buongiorno, mi chiamo Giulia Accordi» disse entrando timidamente.

«Accordi?» La preside alzò gli occhi e la osservò in modo strano, sembrava commossa.

«Sì, esatto.» Giulia la guardò confusa alzando un sopracciglio.

Rimasero a fissarsi per un attimo, ma Giulia ebbe l’impressione che il tempo si fermasse. Quella signora, dai modi nobili ed eleganti, le trasmise una serie di sensazioni che non riusciva a spiegare razionalmente, qualcosa di piacevole e dolce che era legato ai suoi ricordi, ma era tutto molto confuso.

La preside le sorrise amorevolmente sospirando, le strinse la mano e la fece accomodare accanto a lei. «È molto tempo che non sento quel nome.» Cercò di ricomporsi. «Forse non lo sai, ma io conoscevo molto bene tuo nonno…»

«Mio nonno?» Giulia in quel momento, oltre a essere confusa, si sentì turbata. Suo nonno era morto molti anni prima, quando lei aveva solo tre anni. Non aveva ricordi di lui e nessuno in famiglia ne parlava mai. Non le era neppure chiaro come fosse morto. Ogni volta che cercava di pensare a lui era come se si trovasse immersa in un banco di nebbia. Se le veniva in mente di chiedere qualche notizia ai suoi genitori, accadeva qualcosa che la distoglieva, poi veniva distratta e non ci pensava più. Era tutto molto strano.

La preside si accorse del suo turbamento e cercò di alleggerire l’atmosfera. «Allora, cara, sei interessata alla nostra scuola? Hai portato il tuo flauto?»

Giulia annuì e le mostrò il suo bel flauto di legno, glielo aveva regalato proprio sua nonna e…

Ha detto che era del nonno!

Si sentiva davvero confusa e in difficoltà. «Beh, io non ho mai studiato musica seriamente…»

«Non preoccuparti, la musica non deve essere sempre seria.» La preside le sorrise accattivante. «La musica può essere divertente. Avanti, fammi sentire qualcosa» la invitò con dolcezza.

Giulia prese fiato e suonò una canzoncina che sapeva a memoria. Come le accadeva ogni volta che suonava, anche in quel momento si sentì pervadere da una sensazione piacevole che l’avvolgeva e la faceva sentire al suo posto.

La preside sorrise compiaciuta, come se quello che aveva sentito confermasse in qualche modo ciò che già sapeva. Con stupore di Giulia, tirò fuori dalla sua borsa un flauto di legno scuro con delle incisioni. Sembravano animali e fiori.

«Ora ascolta e prova a ripetere quello che suono io.» Eseguì prima la scala, poi due volte un arpeggio e infine altre note.

La musica della preside le provocò bizzarre sensazioni, uno strano formicolio le solleticò la fronte, non la pelle.

È come se qualcosa di strano stesse succedendo dentro la mia testa…

A Giulia non era mai capitato quando sentiva suonare le altre persone, ma cercò di concentrarsi e memorizzò le note. Appena la preside ebbe terminato, ripeté alla perfezione.

«Bene, buon orecchio e buona memoria» disse quasi tra sé. «Allora, qua c’è il volantino della nostra scuola, dobbiamo assolutamente averti tra i nostri allievi.» Le sorrise raggiante.

Giulia prese il volantino e lo aprì, le cadde l’occhio su di una foto: camerate.

«Ma si resta anche a dormire?» Quella notizia la turbò, non amava dormire fuori casa e sicuramente i suoi non sarebbero stati felici se fosse andata via, erano molto protettivi. «Ecco, non saprei… Temo che i miei genitori…» Immediatamente pensò anche alla spesa che avrebbero dovuto sostenere. «Quanto costa le retta?»

Mio padre non guadagna molto, è solo un operaio…

Quel pensiero smorzò il suo entusiasmo.

«Oh, cara...» La donna le sorrise. «Non preoccuparti di questo, i costi sono ammortizzati dal lavoro che gli studenti svolgono nel loro tirocinio. Comunque, se vuoi, posso parlare io con i tuoi genitori…»

Giulia si rasserenò, la preside le ispirava un’assoluta fiducia e lei non aveva più dubbi.

In un modo o nell’altro andrò in quella scuola.

 

Passate un paio di settimane, come promesso, la preside si era messa in contatto con la sua famiglia. Incredibilmente, non aveva avuto alcuna difficoltà a convincere i suoi genitori. Complice era stata anche la nonna Gemma; Giulia aveva scoperto che anche lei conosceva Gloria Orchestri.

Così, due mesi dopo, in primavera, eccola in macchina con i suoi diretta alla “Giornata di scuola aperta” per una visita ad Armonia, ”Istituto Agrario Alternativo a Indirizzo Musicale”, presso la Fattoria Muse.

Giulia guardava fuori dal finestrino e pensava.

Erano successe cose molto strane, prima fra tutte la sua determinazione a iscriversi ad Armonia.

Senza nessun’altra mia compagna o amica!

In realtà non era da lei buttarsi a quel modo, ma le era scattata dentro una forte convinzione che non lasciava posto a nessun dubbio. Come se, a un tratto, un pezzo mancante di un puzzle fosse andato al suo posto, permettendole di capire il senso del disegno che si stava formando per indicarle la sua strada.

In secondo luogo, una settimana dopo la scadenza delle iscrizioni, era arrivato a scuola un nuovo ragazzo: Luca Conversi. Un avvenimento davvero insolito. In un paesino di provincia capitava raramente che arrivassero nuovi studenti, soprattutto ad anno scolastico già in corso. Era stato inserito in un’altra classe, ma anche lui era iscritto ad Armonia. Probabilmente quel giorno si sarebbero incontrati.

Anche la nonna Gemma aveva stupito Giulia con molte rivelazioni. Non solo conosceva la preside, ma aveva frequentato Armonia. Proprio lì, infatti, aveva incontrato e conosciuto suo nonno: Rodolfo Accordi, divenuto poi, niente meno che, un professore di quella scuola.

 

«La giornata comincerà con la visita guidata alla fattoria biologica ed ecosostenibile.» La preside Gloria Orchestri li accolse al cancello. «Vi mostreremo come il lavoro degli studenti contribuisce all’andamento delle attività.»

La fattoria non era molto diversa da alcune strutture che Giulia aveva visitato in passato, nulla di speciale, di certo non sembrava affatto una scuola. Poi i genitori vennero invitati nel salone centrale, dietro alle cucine, per una riunione sulle questioni burocratiche e si salutarono.

«I vostri genitori torneranno a prendervi più tardi.» La preside Gloria Orchestri fece cenno di seguirla. «Vi porterò a visitare il resto della struttura Li radunò in una sala arancione.

Giulia si guardò attorno. Erano circa una ventina. Non era solita guardare i ragazzi, o meglio, cercava di non farlo o comunque di non darlo a vedere, anche perché in generale nessuno restituiva il suo sguardo con interesse o con l’espressione che avrebbe voluto vedere lei, quindi cercava di evitare inutili delusioni.

Vide un ragazzo, però, che attirò inevitabilmente la sua attenzione. Aveva i capelli neri corti, non era tanto alto, ma piuttosto robusto e la sua pelle era olivastra. Aveva occhi scuri, con un taglio leggermente orientale, ciglia folte e sopracciglia marcate. Il suo viso mostrava ancora qualche traccia delle rotondità tipiche dell’infanzia. La stava guardando anche lui.

Quegli occhi… Hanno un’aria familiare, ci conosciamo?

Le fece un mezzo sorriso che gli diede subito un’espressione accattivante e amichevole, forse un po’ impertinente, ma la colpì. Si sentì piacevolmente confusa e un senso di calore le si insinuò nel cuore, non poté fare a meno di sorridergli a sua volta.

Accanto a lui c’era una ragazzina. Era piuttosto bassa e un po’ grassottella, aveva spessi occhiali e capelli a caschetto di colore castano scuro. L’aveva già notata prima di entrare, mentre parlava insieme a sua mamma con la preside Orchestri.

Sembravano in confidenza e, le era parso, che stessero parlando proprio di lei. Si avvicinò, voleva conoscerli.

«Ciao, anche tu sei della “Leopardi”, vero?» Una voce alle sue spalle la fermò.

Giulia si voltò e vide proprio quel Luca Conversi a cui stava pensando prima in macchina. Era un bel ragazzo, poco più alto di lei, capelli biondi spettinati, occhi chiari, forse grigi.

Tutte le ragazze a scuola erano già innamorate di lui, ma non Giulia, per natura era piuttosto diffidente. Aveva notato anche lei che era molto carino, ma le dava l’impressione di essere arrogante, non le ispirava nessuna fiducia e non gli avrebbe concesso troppa confidenza.

«Ciao, sì, mi chiamo Giulia e tu sei Luca, giusto?» Gli sorrise educatamente, ma sostenuta.

«Sì, giusto, allora sono famoso?» Sorrise impertinente.

«Beh, sai? Sei quello nuovo!» rispose per le rime.

Sì, decisamente arrogante.

Il gruppo si mosse e si fermò alla fine di un corridoio davanti a una porta verde.

«Attenzione, questa porta conduce alla scuola vera e propria. È severamente vietato l’ingresso a coloro che non siano studenti o professori, ma oggi, solo per voi, faremo un’eccezione...»

Chissà perché c’è questa regola così rigida? A Giulia parve un’esagerazione.

«Vi ricordo inoltre» continuò la preside «di non portare telefonini o macchine fotografiche, perché interferiscono con la delicata rete elettrica a energia solare che alimenta la scuola.»

Ci fu un mormorio generale. E qualcuno tornò indietro di corsa a posare gli oggetti in questione.

«Attenzione, adesso attraverseremo la porta uno per volta. Dall’altra parte del corridoio, fermatevi e aspettatemi. Non dovete assolutamente allontanarvi dal gruppo. Riceverete un assaggio di come saranno le vostre giornate future.»

«Prima le signore.» Luca la lasciò passare avanti, sembrava nervoso.

Giulia fece una smorfia. «Grazie, ma non sono una signora né vorrei esserlo» rispose un po’ scocciata.

«E dai...» Le diede una leggera spallata. «Non fare la sostenuta, saremo nella stessa classe.» Le sorrise cercando di abbagliarla. «Non possiamo essere amici?»

Giulia sospirò, non le piaceva essere messa in difficoltà e quel Luca non le sembrava il tipo su cui poter fare affidamento.

La preside, prima di farli passare, suonava una breve melodia con il suo flauto, inspiegabilmente Giulia ebbe l’impressione che li stesse controllando.

Che cosa insolita…

«Aspetta!» Luca la fermò. «Puoi tenermi lo zaino? Ho dimenticato la giacca fuori su una panchina…» disse con un’espressione implorante.

«Va bene, ti aspetto di là» cedette Giulia.

Toccava a lei. Non si vedeva nulla dall’altra parte della porta, era tutto buio. Giulia sentiva la strana melodia, ma la preside Orchestri smise di suonare quando lei passò e sorrise.

«Sono molto felice di avere tra i nostri studenti la nipote di un vecchio amico.» Il suo sguardo tornò a risvegliare in lei quei ricordi e quelle sensazioni, proprio com’era successo quando l’aveva vista per la prima volta.

Giulia ricambiò il sorriso, di nuovo un po’ turbata. Fece un passo ed ebbe l’impressione di cadere, come se non avesse visto un gradino e avesse appoggiato il piede più in basso di quanto si aspettasse.

Poi vide, nella penombra, il resto del gruppo, erano radunati più avanti e proseguì nel corridoio. Voleva raggiungere il ragazzo dagli occhi neri... e la ragazzina con gli occhiali, ovviamente.

Se sua mamma conosce la preside, sicuramente saprà già un sacco di cose.

«Molto bene, adesso seguitemi.» La preside li superò e fece strada nel corridoio.

«Alla vostra destra c’è la biblioteca.»

La biblioteca!

Giulia sbirciò passando quell’infinità di libri, scaffali su scaffali. Avrebbe voluto entrare a dare un’occhiata. Era in stile decisamente più classico ed elegante rispetto al resto della fattoria che avevano visitato.

L’edificio non sembrava così grande dall’esterno…

Comunque la biblioteca era proprio invitante, non vedeva l’ora di poterci passare del tempo.

Svoltarono a sinistra e proseguirono.

«A destra ci sono gli alloggi degli insegnanti e a sinistra la Sala Cure. Adesso usciremo all’esterno.»

Quando uscirono Giulia provò un’intensa sensazione di déjà-vu.

Sono già stata qui. È possibile?

La luce fuori era strana. Guardò il cielo, aveva un colore rossastro, forse era scesa della foschia. Nell’aria c’era un intenso profumo dolce di rose, doveva esserci un roseto lì vicino. Lei adorava il profumo delle rose. Si sentiva strana e le girava leggermente la testa.

Si trovarono di fronte a un grande edificio. «Qua c’è la grande Sala Comune, dove si mangia e ci si riunisce, mentre al piano di sopra ci sono le camerate» spiegava intanto la preside.

Svoltarono ancora a sinistra e si ritrovarono in un grande spazio aperto. Un fitto bosco, a sinistra, delimitava un vasto prato, dal lato opposto, si affacciavano le stalle e altri edifici in lontananza. L’erba era di un verde intenso e brillante.

Che bel posto.

Le veniva voglia di fare una corsa su quell’immenso prato.

Era confusa, continuava a percepire strane sensazioni che non riusciva a capire chiaramente, avrebbe voluto fermarsi per analizzarle, ma la preside stava proseguendo.

Vennero condotti verso gli orti e la serra. La scuola sembrava deserta.

«Ma dove sono gli studenti?» chiese una ragazza.

«Sono in trasferta, oggi c’è un’importante partita di Tornado, uno sport simile all’hockey. La nostra scuola è arrivata di nuovo in finale, quindi sono andati tutti a fare il tifo» disse orgogliosa la preside.

«Eccomi.» Luca era riapparso al suo fianco, aveva il fiatone.

«Tieni, ma cosa c’è lì dentro? Ti sei portato dietro mezza casa? Pesa un quintale!» Gli restituì lo zaino.

«Ehm…» Luca sembrava imbarazzato. «No, niente, mi spiace…» Poi le chiese, studiandola: «Tutto a posto?»

Giulia lo guardò stranita. «Sì» rispose alzando le spalle e proseguì seguendo gli altri.

Oltre la serra, si aprì sulla sinistra un panorama mozzafiato: un meraviglioso e immenso lago verde scuro, incorniciato da colline boscose che scendevano dolcemente.

Ma com’è possibile? Prima non ho visto nessun lago!

Si sentì attratta da quelle acque magneticamente, avrebbe voluto sfiorarne la superficie, ma…

«Mi raccomando» disse la preside. «Non avvicinatevi all’acqua!»

«Perché?» scherzò qualcuno. «C’è il mostro di Loch Ness?» Seguì una risata generale.

«Ora venite con me dentro la serra» tagliò corto.

Giulia a malincuore accelerò per non rimanere indietro. Sua nonna le aveva parlato con molto entusiasmo dei fiori che si coltivavano ad Armonia. Mentre seguiva la fila, incantata dai bellissimi narcisi rosa, perse nuovamente di vista Luca.

Dov’è finito?

Intravide più avanti la ragazza con gli occhiali e il ragazzo. Lui la guardava di nuovo. Giulia sentì il cuore battere forte e cercò di allungare il passo per raggiungerli, senza degnare i bellissimi fiori della sua attenzione.

Quando uscirono il cielo si era fatto violetto e stava venendo buio.

«Adesso andremo a fare uno spuntino nella Sala Comune e poi vi riporterò indietro, tra un’ora arriveranno i vostri genitori.»

La Sala Comune era spaziosa, aveva tende e tovaglie color arancio, molti tavoli da sei e otto posti. Le finestre erano piccole e rettangolari. Tutto l’arredamento era in stile rustico, molto accogliente e avvolto in un aroma di pino e pane caldo.

Mentre si sedevano cercò ancora di individuare quel ragazzo, quando ecco riapparire Luca.

«Dov’eri finito?» Non le dispiaceva che si fosse aggregato a lei, tutto sommato la faceva sentire meno sola.

«Sono rimasto indietro» si giustificò.

Purtroppo il tavolo dove si era seduto il ragazzo con gli occhi neri era già tutto occupato, così Giulia si sedette a un altro, assieme a Luca. Furono offerti pane e marmellata, ovviamente genuini e artigianali, un fantastico cesto di mele e pesche dei loro alberi. Lei e Luca chiacchierarono del più e del meno, Giulia non gli prestò molta attenzione, si sentiva addosso i suoi occhi. Non voleva voltarsi, ma aveva la certezza che la stesse guardando di nuovo.

Ripercorsero la strada verso l’edificio della biblioteca, fino alla porta verde. Varcandola Giulia provò ancora quello strano senso di vertigine e, una volta usciti dal salone della fattoria, vide che il cielo era molto più scuro rispetto a prima.

Che strano.

«Ciao.» Una voce sottile la fece voltare.

La ragazza con gli occhiali! Finalmente!

Era seguita a ruota dal ragazzo, le stavano sorridendo in modo molto amichevole.

«Oh, ciao.» Giulia ricambiò il sorriso entusiasta.

La ragazza arrossì imbarazzata. «Allora, tu sei…»

«Sei rimasta contenta della visita alla scuola?» Si fece avanti il ragazzo, sembrava che l’avesse interrotta di proposito. La sua voce era calda e gentile.

Aveva di nuovo quel mezzo sorriso. I suoi occhi scuri la scrutavano curiosi, ma molto dolci.

«Oh sì, certo.» Giulia fece un respiro profondo, si sentiva di nuovo piacevolmente confusa. «Mi chiamo Giulia Accordi, piacere di conoscervi.» Intanto tese loro la mano.

«Sì, lo sappiamo.» La ragazza si fece più vicina.

Lo sanno? Come fanno a conoscermi?

«Io sono Camilla Fedeli e lui è Pietro Leoni.» Le strinsero la mano. Quella di Camilla era morbida e delicata mentre quella di Pietro, calda e accogliente, le provocò un insolito piacere e conforto. Le sorrisero entrambi con affetto.

Provò subito una spontanea simpatia nei loro confronti. Giulia aveva una marea di cose da chiedere. «Strana esperienza, vero? A voi non è sembrato che…»

«Giulia! Vieni, papà è in macchina che ci aspetta!» Era arrivata sua mamma.

Accidenti…

«Oh, no. Scusate, devo andare.» Salutò i suoi recentissimi amici. «Beh, allora, ci vediamo a settembre.» Li guardò ancora una volta.

Vide che anche loro erano dispiaciuti, soprattutto Pietro, la guardò andar via con un velo di delusione.

Le sue domande avrebbero dovuto aspettare.

Capitolo 2

 

Un uovo per tutti

 

 

Finalmente il grande giorno era arrivato. Era il tredici di settembre e gli studenti del primo anno erano riuniti nella sala arancione della Fattoria Muse. Avevano salutato i genitori ed erano pronti per varcare la porta verde.

Giulia aveva trascorso l’estate da sola, come al solito. A leggere, suonare, al limite a sfinirsi in piscina, ma sempre da sola. I suoi genitori erano contenti che andasse in una scuola dove finalmente sarebbe stata in mezzo ad altri ragazzi. Aveva fantasticato in lungo e in largo sulla scuola, su quello che avrebbe imparato e sui suoi nuovi compagni, su Camilla e, soprattutto, su Pietro.

Giulia li adocchiò subito e si mise in fila vicino a loro. L’accolsero molto calorosamente, Pietro l’abbracciò. Giulia si irrigidì per un momento, non amava il contatto fisico, ma capì subito che il ragazzo era molto espansivo e che quello era il suo comportamento abituale. Lo guardò imbarazzata, ma lui sfoderò un mezzo sorriso un po’ impertinente che la mise facilmente a suo agio. I suoi occhi scuri erano buoni e dolci, così lei rispose sorridendo divertita e si rilassò. Lo osservò senza farsene accorgere. Era molto abbronzato, probabilmente era tornato dal mare da poco e doveva essere cresciuto durante l’estate, adesso la superava di almeno dieci centimetri.

Luca, invece, non sarebbe venuto. Era stato bocciato, anzi non era stato ammesso nemmeno all’esame. Giulia l’aveva incontrato poco prima dell’inizio della scuola. Purtroppo dei problemi di salute gli avevano fatto perdere l’anno.

«Non disperarti per la mia assenza, ti raggiungerò sicuramente l’anno prossimo» si era raccomandato.

Arrogante!

Gli studenti erano piuttosto agitati. Camilla non la smetteva più di parlare e ridere, mentre Pietro stava zitto, ma giocherellava con la bretella del suo zaino. Giulia aveva mille domande, ma in quel momento si sentiva la gola serrata per l’ansia.

Una nuova vita stava per iniziare.

La preside Orchestri fece l’appello per controllare che ci fossero tutti. Quando pronunciò il nome di Giulia, tante facce curiose si voltarono a guardarla, mettendola a disagio.

Mi conoscono?

Pietro e Camilla si strinsero impercettibilmente verso di lei, come se volessero proteggerla e lei gliene fu grata.

Si misero in fila e la preside li condusse al di là della porta verde. Giulia ricordava la strana sensazione che aveva provato la volta precedente e cercò di prestare maggiore attenzione. Ancora quella specie di piccola caduta e il capogiro. Ebbe l’inspiegabile certezza che da quel momento, non sarebbe stata più la stessa.

Passarono vicino alla biblioteca e uscirono dall’edificio. Il cielo era rosa, di nuovo ebbe l’impressione che la luce fosse molto diversa.

E questo profumo!

Per tutta l’estate, ogni volta che aveva bevuto lo sciroppo di rosa, che lei adorava, il gusto e l’aroma l’avevano riportata con la mente a quella strana giornata passata alla scuola.

La preside li condusse verso un edificio a sinistra del grande prato, di fronte alle stalle. Il verde dell’erba era molto brillante, come se i colori fossero più vividi. Anche quella volta, sentì il desiderio di correre in quel bel prato, magari senza le scarpe. Adorava sentire l’erba sotto i piedi nudi.

Entrarono e si sedettero. Era una grande aula con sedie e tavoli. C’erano quattro finestre sul lato sinistro che rendevano l’ambiente molto luminoso.

La preside Orchestri cominciò a parlare.

«Buongiorno a tutti e benvenuti ad Armonia.» Il suo sorriso li avvolse come un abbraccio. «“Istituto Agrario ad indirizzo Musicale”, meglio conosciuta come Scuola di Musicomagia…»

Cosa? Musico cosa?

Giulia si guardò attorno confusa. Devo aver capito male.

La preside continuò. «Forse per qualcuno di voi sarà una sorpresa, ma non preoccupatevi, presto vi verrà spiegata ogni cosa. Avrete il piano di studi e potrete chiarire tutti i vostri dubbi.» Sorrise cordiale e a Giulia parve che guardasse proprio nella sua direzione.

«Vi spiego brevemente cosa facciamo qui: impariamo a fare ogni cosa con la musica dei nostri flauti. Faremo lezioni di teoria e di storia della Musicomagia e lezioni pratiche di artigianato, per costruire tutto ciò di cui abbiamo bisogno, come utensili, vestiti, vi insegneremo a coltivare fiori, ortaggi, alberi da frutto e ad allevare i nostri animusi. A tal proposito, lascio la parola al professor Filippo Gentile insegnante ed esperto di allevamento degli animusi

Musicomagia? Animusi?

Giulia era frastornata.

«Buongiorno, ragazzi.» Era un uomo alto, atletico e robusto, aveva i capelli brizzolati, leggermente ricci, occhi azzurri e pelle abbronzata. Cominciò a parlare con voce dolce e profonda.

«Innanzi tutto, vi prego, niente professore, ma solo Filippo.» Sorrise. «In secondo luogo, benvenuti a tutti anche da parte mia. Mi scuso se vi abbiamo portato direttamente qui senza neanche farvi posare i bagagli, ma dovete sapere che alcune uova sono state deposte già stamattina presto e non possono restare a lungo incustodite, perciò dobbiamo affidarvi immediatamente il vostro uovo…»

Uovo? Accidenti, ma che storia è questa?

Guardò Camilla. Sembrava perfettamente a suo agio, come se avessero appena detto che le avrebbero consegnato dei quaderni. Anche Pietro doveva saperne già qualcosa, perché era rilassato e le sorrideva entusiasta.

«Adesso, lasciate pure qui le borse e seguitemi nella sala nascite delle stalle. Fate silenzio, mi raccomando.» Si avviò fuori dall’aula seguito da tutti i ragazzi.

Attraversarono il prato e si infilarono nelle stalle. Giulia avrebbe voluto chiedere spiegazioni a Camilla, ma si sentiva tanto confusa che le parole le morirono in gola, così si affrettò a seguire gli altri ragazzi.

La costruzione era bassa e di legno, si sentiva un forte odore di fieno appena tagliato.

«A sinistra vedete le mamme delle vostre uova.» Il professore sorrise parlando a bassa voce. «Qui abbiamo la tenerissima Susi topogallo…»

Topogallo?

Sembrava un grosso criceto, ma incredibilmente colorato di tutte le possibili sfumature di giallo e arancione e...

Con le ali!

«E qua chi c’è? La bellissima Fifì gattufo, lei è la compagna della nostra preside.»

La gatta voltò il musetto nero verso il professor Filippo che avvicinò il proprio naso per farsi annusare, ma le zampe davanti avevano artigli da uccello. I suoi occhi erano molto più grandi del normale. Si alzò un attimo, per stiracchiarsi e allargò due grandi ali. Il professore le grattò la testa dietro alle orecchie.

«Oh sì, le piacciono le coccole, sapete?» Sorrise, si vedeva che amava davvero tanto quegli strani animali.

Proseguirono. Sdraiata in un angolo c’era una piccola cagnetta bruna e particolarmente pelosa che guaiva dolorante.

«Oh, povera piccola, la mia dolce Ciarli… Lei è un canorso. Ha deposto le uova da poco ed è ancora decisamente provata.» Era tozza e ricordava un chow chow.

Varcarono un’apertura sulla destra. Lì, su una distesa di paglia e fieno, c’erano probabilmente una ventina di uova grandi come pompelmi. Erano di vari colori, alcune nere, grigie e altre invece di tinte pastello.

«Venite» disse il professore.

Uno per uno i ragazzi scelsero un uovo. Il professore intanto dava loro una speciale borsa di lana grezza da mettere a tracolla, per sistemarvi il proprio uovo.

«Inutile dirvi quanto siano delicate le uova, dovete tenerle sempre al caldo a contatto con il vostro corpo. Non temete, nel giro di un paio di giorni, si schiuderanno. Il periodo di cova dei nostri animusi si svolge principalmente all’interno del corpo della madre, quindi molto presto ne uscirà il vostro prezioso amico. Quando vedrete che comincia a incrinarsi il guscio, venite subito da me, mi trovate sempre qui alle stalle o dietro ai recinti degli altri animusi

Giulia mise in fila e allungò il collo per vedere il professor Filippo.

«Non so se tutti sapete che i nostri amici si nutrono esclusivamente di musica, è importante dunque che suoniate per loro con il vostro flauto, già adesso che sono ancora dentro l’uovo. Gli animusi da compagnia hanno bisogno solo di melodie in do maggiore, quindi facilmente eseguibili. Troverete brani già scritti in biblioteca, ma vi consiglio di inventare voi stessi una melodia che sia sempre la stessa. Vedrete che il vostro piccolo amico la riconoscerà. Scoprirete presto quali note preferisce così potrete regolarvi di conseguenza.»

Fu il turno di Camilla e Pietro, poi di Giulia che ne scelse uno azzurro con mani tremanti. Prese la borsa e si ritrovò a seguire i due ragazzi fuori nel prato, sempre più frastornata.

Erano tutti raggianti ed entusiasti. Certo, anche Giulia, ma…

In effetti, una parte di lei si sentiva felice e perfettamente a suo agio, ma l’altra si sentiva veramente confusa, come se fosse finita nel paese delle meraviglie.

Dov’è il bianconiglio?

Guardò Camilla, tutta intenta a cullare il suo uovo.

«Tu sapevi già tutto, vero?» chiese con un filo di voce.

Camilla annuì. «Tu no?» La guardò stupita. «Ma tu sei…»

«Sei contenta, però?» la interruppe Pietro.

Il ragazzo non parlava molto, ma non era la prima volta che interrompeva Camilla, come se volesse impedirle di dire qualcosa.

Sei la nipote del grande e famoso professore Rodolfo Accordi…” Ecco cosa stava per dire Camilla, ma peccato che nessuno avesse pensato di dirle nulla. Sospirò ferita, ma cercò di sorridere a Pietro, sembrava proprio che lui avesse capito il suo disagio.

«Sì, ma mi sento veramente confusa» disse piano.

Pietro le appoggiò una mano sulla spalla per consolarla e le fece una piccola carezza sulla guancia.

Giulia arrossì e abbassò gli occhi imbarazzata, anche se dovette ammettere a se stessa che quel piccolo gesto d’affetto le aveva fatto provare un piacevole calore al cuore.

«Non ti preoccupare» disse il ragazzo dolcemente. «Anche io mi sento così. Camilla mi aveva raccontato ogni cosa, ma non riuscivo assolutamente a crederle e anche adesso…» Alzò entrambe le sopracciglia perplesso. «Non so se ci credo ancora.» Fece una faccia buffa.

Giulia si mise a ridere e sentì la tensione sciogliersi un pochino.

Si sedettero nel prato. Era una bella giornata, il sole splendeva, ma l’aria era piuttosto fredda e il cielo era di un blu molto scuro.

Giulia tirò fuori il suo uovo e lo osservò interessata.

«Si nutrono di musica? Non è pazzesco?» Prese il suo flauto dallo zainetto.

Pietro e Camilla la guardarono incuriositi.

«Cosa gli suoniamo? Forse, per iniziare, la scala andrà bene?» disse quasi tra sé.

Cominciò a suonare e subito anche Pietro la imitò.

«Conosci questa?» Pietro le fece ascoltare un motivetto, una popolare melodia per bambini.

Giulia annuì entusiasta, «La suoniamo a canone?»

«Dai!» rispose Pietro.

Cominciarono ad attirare l’attenzione degli altri ragazzi, suonando quella semplice canzoncina. Eseguivano la stessa melodia, ma sfalsata. Prima era partita Giulia e poi Pietro con un effetto di eco, dove la risposta si legava armonicamente con la frase musicale successiva. Si aggiunse anche Camilla con una terza voce.

Arrivò il professore. «Ma bravi!» Si accucciò vicino a loro. «Guardate le vostre uova.» Mentre loro suonavano, le uova emanavano una leggera luminescenza.

Terminarono la canzoncina e rimasero a guardarle stupefatti.

«Che meraviglia…» sussurrò Giulia.

«Bravi ragazzi.» Il professor Filippo si congratulò ancora. «Mi avete commosso, sapete?» Si asciugò gli occhi con la manica.

Appoggiò le mani una sulla spalla di Pietro e l’altra su quella di Giulia. Li guardò scrutandoli negli occhi, con aria molto soddisfatta.

Lo sguardo benevolo del professore ispirò a Giulia una grande fiducia.

«Penso proprio che noi andremo molto d’accordo» aggiunse Filippo come se avesse letto i suoi pensieri.

 

Dopo aver preso ognuno il proprio uovo, passarono a recuperare i bagagli e vennero accompagnati alle camerate. Salirono delle scale esterne dietro la Sala Comune e si trovarono in un lungo corridoio, le femmine a sinistra e i maschi a destra, lì si separarono da Pietro. A Giulia e Camilla fu assegnata l’ultima stanza in fondo.

Era una graziosa cameretta a due letti, due scrivanie che fungevano anche da comodini e un unico armadio. In un angolo, c’era anche un catino, con una brocca per lavarsi, proprio come quelli che si vedevano nei vecchi film o nei musei. I bagni erano in comune ed erano al piano di sotto. Dalla finestra, che dava su un unico grande terrazzo, si vedeva uno scorcio del grande lago, mentre sulla destra, la collina boscosa, declinava dolcemente verso di esso.

Sono proprio camerette accoglienti. Non sarà difficile sentirsi presto a casa.

Durante il tragitto e mentre si sistemavano, Giulia non aveva smesso di sommergere Camilla di domande a proposito degli animusi.

«Non ho mai avuto un animaletto tutto mio, sai?»

«Sono intelligenti e molto sensibili» le spiegò Camilla. «Capiscono gli esseri umani senza alcuna difficoltà e, pensa, rimangono in vita finché vive il loro padrone!»

Rimarrà con me per sempre! Chi potrebbe desiderare di meglio?

«E quando finisce la scuola? Come faremo a portarli a casa?»

«Vengono in qualche modo camuffati in animali comuni. Noi a casa abbiamo una bellissima gatta, ma in realtà è una gattufo, l’ha ricevuta mia mamma quando frequentava Armonia.»

«Esistono altri animusi?» Giulia si sentiva sopraffatta dalle tante emozioni.

«Se non ricordo male ci sono quelli da allevamento e quelli da combattimento, che sono grandi e pericolosi.»

«Da combattimento?»

«Sì, come l’aquilupo….» Camilla rabbrividì.

L’aquilupo…

«E quali melodie impareremo?» Giulia aveva mille domande anche sulla Musicomagia.

«Ci sono melodie per fare qualsiasi cosa, ma il primo anno impareremo solo le cose più elementari.»

«Scusami.» Giulia si sedette sul letto e guardò Camilla temendo di averla messa sotto pressione. «Ti sto sommergendo di domande…» Era dispiaciuta, di solito lei era molto riflessiva e non parlava così tanto, ma in quel momento si sentiva come se il cuore volesse esploderle per l’entusiasmo.

«Ma no...» Camilla si accomodò accanto a lei e le rispose con dolcezza. «Ti capisco perfettamente, è tutto nuovo per te. E poi a me piace rispondere alle tue domande, mi sento così importante…» Rise e arrossì.

Giulia le si avvicinò e le strinse il braccio con la mano, si sentiva fortunata ad aver trovato una persona così buona come Camilla e che sembrava capirla alla perfezione.

Sui letti trovarono le loro divise. Consistevano in una giacca di lana verde scuro con il cappuccio, dietro la schiena c’era ricamato il loro cognome; una maglietta bianca a maniche corte con il colletto e un paio di pantaloni grigi, tipo jeans, ma morbidi come una tuta o in alternativa una gonna pantalone a pieghe dello stesso colore. Giulia mise subito via la gonna nell’armadio. C’era anche un piccolo sacchetto per il flauto che mise a tracolla, come la borsa porta uovo.

Poi si prepararono a scendere per il pranzo.

«Dopo mangiato riceveremo il nostro piano di studi.» Camilla era molto ansiosa ed era già sulla porta.

«Non vedo l’ora di leggerlo, ma, prima di scendere, suonerò ancora un po’ per il mio uovo. Tu va’ pure avanti.»

Giulia si sedette sul letto, prese il flauto e il prezioso uovo, poi intonò una canzoncina che aveva imparato a scuola.

 

La Sala Comune era esattamente come Giulia ricordava. Si avvicinò al tavolo accanto alla finestra dove l’aspettavano già Camilla e Pietro, le avevano lasciato un posto proprio in mezzo a loro. Si sedette e sorrise a Pietro. Vicino a lui c’era un altro ragazzo.

«Lui è Marco, il mio compagno di stanza» spiegò a Giulia.

Aveva capelli scuri corti, occhiali, era mingherlino e sembrava timido. Anche loro indossavano la divisa e Pietro, con quella maglietta bianca, sembrava ancora più abbronzato.

Giulia notò che la sala era semi deserta.

«Ma dove sono i ragazzi più grandi?» chiese una ragazza con lunghi capelli neri e ricci.

«Lei si chiama Valeria» disse Camilla sottovoce. «Si è presentata prima alle stalle.»

«In verità, non li vedrete ancora per qualche giorno» spiegò Filippo. «Vi abbiamo fatto arrivare un paio di giorni prima. In questo modo potete ambientarvi, imparare le prime basi della Musicomagia e le vostre uova avranno il tempo di schiudersi.»

La preside Orchestri prese la parola. «Allora ragazzi, innanzitutto, vi presento i vostri professori.» Indicò con una mano un tavolo sulla destra. «Il professor Filippo lo avete già conosciuto.»

Filippo sorrise e fece un cenno con la mano a Giulia.

La preside continuò. «Il signor Giorgio Verza...» Era un signore anziano con gli occhiali, non molto alto e dall’aria assai gentile. «La professoressa Erminia Severini...» Una spilungona asciutta con un’espressione severa e intransigente. «E infine la professoressa Diana Guerri.» Una bellissima donna con capelli corti rossi e vivaci occhi azzurri, trasmetteva forza e grinta.

Giulia notò che i professori erano vestiti come i ragazzi, con la differenza che la loro maglietta che era di colore nero e la gonna pantalone della professoressa Severini era molto, molto lunga.

«Prima di uscire, prendete uno dei fascicoli su quel tavolino rotondo vicino alla porta. Troverete il vostro piano di studi con gli orari delle lezioni e una piantina della scuola per orientarvi. Se avete bisogno di noi, sappiate che siamo a vostra disposizione. Nell’edificio qui accanto, vicino alla biblioteca, trovate il mio ufficio, mentre al piano superiore ci sono gli alloggi degli insegnanti. Il professor Filippo e la professoressa Diana li trovate più facilmente alle stalle o ai recinti, mentre il nostro caro Giorgio è sempre negli orti o nella serra.» Prima di sedersi a mangiare, concluse: «Auguro a tutti buon appetito e vi ricordo che le lezioni e gli orari saranno validi da domani.»

Mangiarono una specie di focaccia con sopra le verdure. Un bel pezzo di formaggio e una ricca macedonia. Tutti prodotti dell’orto e del lavoro del signor Giorgio Verza che ricevette un bell’applauso.

Uscendo, i ragazzi presero il fascicolo e si sistemarono fuori nel prato per analizzarlo insieme.

 

Dopo aver letto e riletto mille volte l’orario sdraiati sul prato, commentarono per dritto e per traverso le materie e i professori.

«Non immaginate quanto sia felice che non ci sia nessuna lezione di matematica.» Pietro sorrideva soddisfatto, ma poi la sua espressione mutò. «No! Pattinaggio no! Ho provato una volta sola a salire sui pattini e mi sono rotto un braccio.» Aveva l’aria di un condannato a morte.

Le ragazze risero di cuore.

«Avete visto il signor Giorgio? Mi sembra molto simpatico. Mi ricorda tanto un mio vicino di casa molto gentile, non vedo l’ora di cominciare le lezioni di botanica.» Camilla era entusiasta

«E voi che ne pensate degli animusi? Secondo me sono pazzeschi… Ah, devo suonare per il mio uovo!» Giulia lo posò delicatamente davanti a sé.

«Se continui così, lo farai diventare talmente grasso che il tuo uovo esploderà» commentò Pietro.

Passarono il resto della giornata a visitare la vasta area della scuola, piantina alla mano. Prima di tutto le stalle, dove incontrarono Filippo. Giulia lo sommerse di domande, soprattutto a proposito degli animusi da allevamento e da combattimento.

«Ti assicuro che durante le lezioni potrai soddisfare tutta la tua curiosità» disse con gentilezza. «Ora scusatemi, ho molto da fare. Fino all’arrivo degli studenti più grandi, devo badare agli animusi da solo.»

«Possiamo aiutarti noi!» dissero in coro Pietro e Giulia.

Filippo sorrise ma scosse la testa. «Per il momento, non potete essermi ancora molto utili, ma vi prometto che, appena avrete le capacità e le conoscenze adeguate, vi nominerò miei aiutanti» e detto ciò si allontanò.

I ragazzi proseguirono fino al campo sportivo. Era un piccolo stadio circondato da una bassa rete di recinzione, al centro c’era il campo da Tornado, simile a quello da hockey su pista. Dietro a una delle due piccole porte, invece, videro il campetto da Pallasuono che era proprio come quello da pallavolo. Tutt’intorno c’era la pista per le corse sui pattini. All’ingresso, prima degli spogliatoi, una piccola tettoia copriva grandi scaffali con pattini, ordinati per numero di scarpa.

«Io devo assolutamente fare un giro!» Giulia si sedette per indossare i pattini. «Adoro pattinare fin da quando ero molto piccola.» Strinse i lacci della scarpetta. «A volte, d’estate, giro per il mio paese con i pattini addosso e vado anche nei negozi!»

Camilla e Pietro la guardarono, mentre sfrecciava felice sulla pista. Quando pattinava le sembrava di volare, era una sensazione di fantastica libertà e la rendeva euforica. Vide che i suoi nuovi amici sorridevano, ammirati e divertiti dalle sue acrobazie.

Più tardi, accontentarono anche Camilla che desiderava tanto visitare la serra dei fiori, ma, mentre lei girava estasiata chiacchierando con il signor Giorgio, Giulia uscì.

Si ritrovò a camminare sul sentiero che conduceva allo splendido lago. L’aveva già colpita durante la sua prima visita. “Il Lago Sussurrante” c’era scritto sulla piantina. Era immenso, le sue acque verde scuro non lasciavano intravedere assolutamente nulla. Si perdeva in molte anse tra le colline boscose che lo circondavano. Quello che più la impressionò era il silenzio che regnava attorno a esso. Si sentiva attratta e nello stesso tempo impaurita da quelle acque.

«Non avvicinatevi alla sponda» si era raccomandato il signor Giorgio. «Il lago è pericoloso.»

«Perché?»

All’inevitabile domanda dei ragazzi, aveva risposto evasivo: «È soggetto a improvvise maree e pericolosi gorghi.»

Eppure le acque sembrano così tranquille…

La giornata pareva proprio non finire più, ma finalmente arrivò l’ora di andare a dormire. Per cena mangiarono una crema di verdure, con deliziosi crostini e una frittata con le patate. Giulia era veramente stanca, ma prima di sdraiarsi, suonò una ninna nanna al suo adorato uovo.

Stava quasi per addormentarsi, quando sentì bussare alla finestra. Sorpresa sollevò il capo e vide il volto di Pietro sorridente, spiaccicato sul vetro.

Scese dal letto e gli andò incontro per apre l’imposta. L’aria era fredda e il cielo sembrava nuvoloso.

«Ma che ci fai qua fuori? E come hai fatto ad arrivare, non ti sarai mica arrampicato?» disse Giulia preoccupata. Si affacciò e cercò di guardare nel buio.

«Volevo augurarvi buona notte.» Le stampò un bacio sulla guancia.

Giulia cominciava ad abituarsi alle sue attenzioni così espansive.

«Non lo sai? Tutte le stanze danno su questo terrazzo, basta scavalcare la finestra…»

Giulia scosse la testa divertita. «Camilla dorme già.»

Pietro lanciò un bacio anche alla compagna addormentata. «Sarà meglio che andiamo a dormire anche noi!» Le strizzò l’occhio e sparì nel buio.

Giulia tornò a letto, ma, mentre si sdraiava, sentì il suo uovo scricchiolare. «Accidenti!» esclamò preoccupata.

Cosa devo fare?

Si precipitò fuori dalla finestra con il suo uovo e chiamò Pietro sottovoce procedendo nella direzione in cui l’aveva visto sparire.

Per fortuna il ragazzo non era ancora arrivato alla sua finestra. «Che succede?»

«Il mio uovo! Sta scricchiolando» disse agitata.

«Lo sapevo che sarebbe esploso» scherzò, ma vedendo che Giulia era veramente preoccupata, si fece subito serio.

«Accidenti, starà per nascere?» chiese Giulia, ma sapeva benissimo che Pietro ne sapeva quanto lei.

«Andiamo da Filippo» disse lui con voce ferma e tranquilla.

«Adesso?» Era già buio e, da lì a dieci minuti, avrebbero spento le luci.

«Sì, vieni. Da qui si arriva alla scala esterna, scendiamo e costeggiamo la Sala Comune, finché arriviamo alla biblioteca» disse Pietro e, prendendola per mano, cominciò a camminare svelto.

«Sarà già nel suo alloggio o sarà ancora alle stalle?» Giulia per fortuna, ricordava bene la piantina della scuola, comunque si stava già tranquillizzando, la presenza di Pietro la aveva dato immediato conforto.

«Prima proviamo nella sua camera» disse il ragazzo.

Un attimo dopo, erano già saliti al secondo piano dove c’erano gli alloggi degli insegnanti e stavano bussando alla porta, con scritto sulla targhetta “Professor Filippo Gentile”. La scritta “Professor” era stata cancellata.

«Che succede?» Dalla porta accanto, sbucò fuori la professoressa Diana che li guardò severa. «Che ci fate qui a quest’ora?»

«È per il mio uovo!» si giustificò subito Giulia e glielo mostrò.

«Filippo è ancora alle stalle.» Sembrò comprendere la situazione. «Vi accompagnerò da lui.» Rientrò un momento nella sua stanza a prendersi la giacca, chiuse la porta alle sue spalle e fece loro strada.

Camminarono svelti, attraversarono il prato e si infilarono nelle stalle, lì per fortuna faceva più caldo. In quel momento Giulia si rese conto che, sia lei che Pietro, erano in pigiama.

«L’uovo sta per schiudersi» spiegò brevemente la professoressa a Filippo.

Il professore sorrise. «E siete venuti subito da me come vi avevo detto. Ben fatto.» Prese l’uovo tra le sue grandi mani e lo osservò attentamente.

«C’è solo una piccola spaccatura, in questo punto.» Fece loro segno. «Sicuramente ci vorrà ancora tempo, ma sarà meglio che lo lasciate qui, così potrò tenerlo d’occhio e domattina verrete a vedere se si è schiuso. Diana, puoi accompagnare i ragazzi in camera?»

«No, no, per favore!» sbottò Giulia, forse un po’ troppo forte.

I professori la guardarono allarmati.

«Scusatemi tanto.» Abbassò il tono. «Ma non mi voglio perdere la nascita del mio animusi, per nessuna ragione al mondo.»

Filippo la guardò sorpreso.

Giulia restituì lo sguardo a Filippo, implorante ma irremovibile. «Non mi separerò dal mio uovo.»

Filippo sorrise e sospirò. «E va bene, puoi restare qui con me, avvolgiti in una di quelle coperte laggiù e siediti qua sul fieno.»

Filippo non aveva ancora finito di parlare che Pietro si era precipitato a prendere due coperte e si era già sistemato. «Io resto con lei.»

I due professori si guardarono perplessi, ma divertiti.

«Allora io vado» disse la professoressa Diana. «Ma non crediate che tutto questo giustifichi una vostra assenza o ritardo per domattina.» Li guardò severa. «Ci vediamo puntuali alle sette, sul prato, per la ginnastica mattutina.»

«Certo professoressa e grazie» risposero i ragazzi, quasi in coro, poi si guardarono e scoppiarono a ridere.

Giulia era felice ed emozionata, era contenta che Pietro avesse deciso di rimanere con lei, la sua presenza la tranquillizzava, come se si conoscessero da tanto tempo.

«Ehm… Filippo» chiese Giulia dopo un po’. «È tutto a posto, vero? Voglio dire, perché si sta già schiudendo il mio uovo, avevi detto un paio di giorni…»

«Oh, sì, non ti preoccupare, piccola.» Filippo le scompigliò i capelli. «Probabilmente hai suonato molto per lui… Anche io feci schiudere il mio uovo, durante la prima notte passata qua a scuola.» Sorrise con lo sguardo perso nei ricordi.

Dopo un po’ guardò verso di lei. «E anche io dormii proprio qui, accanto al mio uovo. Pensavo che non avrei mai rivissuto quel momento… In tutti questi anni me n’ero quasi dimenticato, feci letteralmente impazzire il mio professore per convincerlo a non mandarmi via» rise al ricordo.

Poi si fece serio e la guardò negli occhi, con affetto. «Sai? Il mio professore era proprio tuo nonno…»

Dopo quella rivelazione, calò il silenzio. Ogni volta che sentiva nominare suo nonno, Giulia provava un senso di vuoto e di frustrazione.

Io non riesco a ricordarlo e nessuno a casa me ne ha mai parlato, perché?

Sospirò e decise di suonare ancora un po’.

«Le note basse fanno tranquillizzare e dormire l’animusi, mentre quelle acute gli danno forza» spiegò Filippo.

Il tempo passava e Giulia stava morendo di sonno, ma non riusciva a dormire, perché era agitata e aveva freddo.

A un certo punto Pietro si alzò avvicinandosi a lei.

«Vediamo se riusciamo a stare un po’ più caldi» le disse piano.

Si sedette dietro di lei, stendendo le gambe a lato delle sue, quindi l’abbracciò avvolgendola anche con la sua coperta. Giulia trattenne il fiato sorpresa.

«Facciamo a turno, prima dormi un po’ tu, se l’uovo scricchiola ti sveglio subito» le promise con voce dolce.

Giulia annuì. Si era irrigidita. Quell’abbraccio le sembrava un po’ troppo intimo, era decisamente consapevole della sua presenza e del calore che emanava. Non era mai stata così vicina a un ragazzo. Il suo cuore accelerò. Il disagio durò solo per un attimo, in realtà la vicinanza di Pietro le diede conforto, la fece sentire al sicuro e poco dopo si tranquillizzò. Era molto strano, perché in generale era piuttosto infastidita dal contatto fisico con le altre persone, soprattutto se le conosceva da poco tempo, ma con Pietro aveva notato subito una sorta di affinità a pelle.

Pensando a quello si assopì.

 

«Giulia, svegliati.» Pietro la scrollò dolcemente. «L’uovo» le disse eccitato.

Giulia abbassò lo sguardo. Vide che la spaccatura si era diramata in tante piccole altre venature e l’animusi all’interno faceva scrollare l’uovo di qua e di là.

Si guardò intorno. «Dov’è Filippo?» chiese allarmata.

«Mi ha detto che tornava subito.» Pietro alzò le spalle.

All’improvviso, uno scrollone più vigoroso fece saltar via un bel pezzo di guscio e Giulia vide spuntare un piumino di colore azzurrino.

«È un topogallo!» esclamò.

Una zampetta era uscita fuori, ma sembrava che avesse qualche problema a tirar fuori il musetto. Un altro colpo e da un buco nuovo uscì il nasino e il resto della testa, ma rimase intrappolato. L’animusi squittì e si agitò, sembrava in difficoltà. Giulia voleva aiutarlo, ma aveva paura di ferirlo, il guscio dell’uovo era molto spesso e pareva tagliente.

«Sta male… Che facciamo?» Anche Pietro era preoccupato.

Improvvisamente, a Giulia venne un’idea. Prese il suo flauto e intonò una canzoncina con note molto acute.

Filippo ha detto che danno forza!

La melodia di Giulia fece effetto. Il piccolo batuffolo azzurro cominciò a rosicchiare l’uovo con i suoi dentoni, tutto intorno al buco dov’era incastrata la testa, poi, con due vigorosi calcioni, finalmente l’uovo si aprì definitivamente.

Giulia sospirò di sollievo e appoggiò le mani per terra vicino all’uovo rotto. Il piccolo topogallo alzò il musetto verso di lei.

«È tenerissimo!»

La annusò un momento e salì fiducioso acciambellandosi comodamente. Giulia tremava per l’emozione, aveva l’impressione di tenere tra le mani la cosa più preziosa del mondo. Sembrava un criceto o forse una marmotta, aveva un musetto da topolino con le orecchie piccole, ma era di quello strano colore azzurro. Le ali non si vedevano quasi, erano ripiegate dietro la schiena e al posto della coda aveva lunghe penne come gli uccelli. Sospirò e si accorse che lacrime di gioia le stavano offuscando la vista. Avvicinò lentamente il topogallo al suo viso e l’animusi strisciò il musetto sulla sua guancia.

È il momento più bello della mia vita.

Nel frattempo arrivò Filippo e Pietro gli raccontò a raffica tutto per filo e per segno. Il professore abbracciò i due ragazzi, poi grattò la testa dell’animusi.

«È in ottima forma e con te starà benissimo.» Sorrise benevolo. «Adesso, però, ci vuole un bel nome…»

«È un maschio?» chiese Giulia.

«Sì, le femmine sono rosa o gialle, i maschi azzurri o verdi» spiegò Filippo.

«Allora Ciccio» Giulia ci aveva già pensato, era il nome del suo primo pupazzetto fatto a topolino che aveva avuto da bambina. «È bellissimo.»

Pietro rise. «Certo, Ciccio è proprio azzeccato.» Anche lui lo accarezzò sopra la testa e strinse Giulia per le spalle. «Con tutto quello che gli suonerai, diventerà tanto grasso che non riuscirà mai a volare.»

Risero divertiti e soddisfatti.

Capitolo 3

 

Il tempo è relativo e anche lo spazio.

 

 

 

Mentre tornavano alle camerate accompagnati da Filippo, Giulia, come d’abitudine, alzò lo sguardo verso il cielo divenuto sereno, era limpido e si vedevano una miriade di stelle. Cercò di orientarsi, ma non riuscì a trovare né l’Orsa Maggiore né Cassiopea e neppure la costellazione di Orione.

Com’è possibile?

Poi Giulia rientrò in camera con il suo piccolo nuovo amico Ciccio. Dopo aver ricevuto un altro bacio della buonanotte da Pietro, si infilò sotto le coperte per dormire quel poco di notte che restava.

Si addormentò con il cuore gonfio di mille emozioni e la mente affollata da dubbi e pensieri.

 

Quando venne data la sveglia, Giulia aveva dimenticato le sue perplessità. Una campanella cominciò a suonare brillanti rintocchi, dapprima distanziati nel tempo e poi sempre più ravvicinati, fino a diventare uno scampanellio quasi insopportabile. Impossibile che qualcuno in tutta la scuola non si fosse svegliato.

Appena Camilla si alzò, Giulia si precipitò nel suo letto, mostrandole il suo tenerissimo Ciccio. Le raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo durante la notte.

«Siete usciti dalla finestra?» ripeté Camilla preoccupata. «Tutta la notte nelle stalle?» Non riusciva a crederci. «Per fortuna dormivo, altrimenti mi avreste trascinato con voi» concluse, accarezzando il morbidissimo topogallo. «Certo che ti ci sei già molto affezionata, io lo avrei lasciato nelle mani esperte di Filippo…»

Poco dopo, erano tutti di sotto nel prato, schierati come aveva detto la professoressa Diana, pronti per fare ginnastica. Era una bellissima giornata, anche se piuttosto fresca. Il cielo era blu, molto intenso e il dolcissimo profumo di rose aleggiava nell’aria. Giulia lo inspirò assaporandolo soddisfatta. Nessuno notò Ciccio che se ne stava ancora nascosto nella borsa porta uovo.

Quando ebbero finito, Giulia si sedette sul prato a gambe incrociate.

Sarà meglio suonare un po’ per Ciccio.

L’erba brillante era fresca e un po’ umida, ci adagiò dolcemente la sua borsa. Tirò fuori il flauto e, dopo le prime note, Ciccio uscì stiracchiandosi. Inevitabilmente, tutti i ragazzi si avvicinarono per vedere il primo cucciolo nato nel nuovo anno scolastico. Lei si sentiva tutti gli occhi addosso, ma non le dava nessun fastidio, anzi era molto orgogliosa del suo piccolino e di come si era comportata in quella situazione. Pietro le si avvicinò molto assonnato. Non le disse nulla, sorrise soltanto, grattò la testa a Ciccio e le lanciò uno sguardo complice e compiaciuto.

«Sto morendo di fame» sentenziò quando Giulia ebbe finito e si avviò verso la Sala Comune.

 

Fecero una ricca colazione, a base di latte fresco appena munto, fette tostate, marmellata e ogni tipo di frutta. Poi si recarono alla loro prima lezione: “Cura degli animusi”.

Filippo li aspettava sulla porta. Diede una grattatina a Ciccio e una carezza alle teste di Giulia e Pietro. C’era anche la professoressa Diana a dare loro una mano.

«Venite ragazzi. Vi divideremo in gruppi e svolgerete gli stessi lavori a rotazione.»

Giulia rimase con Camilla e altri due ragazzi, due gemelli biondi e lentigginosi. Dovettero occuparsi degli animusi da compagnia degli allievi più grandi.

«Durante la pausa estiva, i ragazzi lasciano i loro amici che trascorrono il periodo di chiusura in un lungo letargo» spiegò Filippo.

Quel pensiero contrariò molto Giulia.

Non mi separerò mai dal mio Ciccio.

Gli animusi da accudire erano suddivisi in tre diverse sale di pensione, una per ogni tipo, in modo che non si infastidissero. Giulia si infilò nella stanza dei topogalli; erano molto più grandi di Ciccio, all’incirca come un coniglietto. Correvano e svolazzavano da tutte le parti, avevano dei colori bellissimi, ogni esemplare aveva infinite sfumature.

«Si sono svegliati da poco e hanno bisogno di mangiare molto» spiegò Filippo. «Quindi mano ai flauti.»

Nel secondo turno furono accompagnati in un’ala della stalla e videro le muccoche.

«Sembrano ippopotami, vero?» disse piano Giulia a Pietro.

«Beh, a parte i piedi palmati e le piume» considerò lui.

«Le nostre amiche sono già state munte per voi a colazione, non potete suonare per loro, perché si nutrono di melodie in fa maggiore.» Filippo diede una pacca affettuosa alla grande schiena dell’animale. «Però potete raccogliere le loro piume e dividerle per colore e grandezza, poi le porterete ai laboratori. Le usiamo per imbottire coperte e giacconi oppure per riempire cuscini e materassi.»

Filippo si spostò di lato e permise al gruppo di sistemarsi in cerchio attorno a lui.

«Le muccoche sono in assoluto gli unici animusi che oltre alla musica mangiano anche del fieno, questo perché sono necessari i loro escrementi per concimare la terra dell’orto.» Qualcuno arricciò il naso. «Un altro compito, forse meno gradito, sarà proprio quello di raccoglierli e portarli con una carriola fino agli orti dal signor Giorgio.»

Nel turno successivo dovettero occuparsi delle gallicore. Erano buffe galline che al posto delle piume avevano una lanugine che ricordava quella delle pecore. Correvano di qua e di là facendo un gran chiasso.

«Un giorno vedremo come si tosano, ma per oggi dovrete raccogliere le uova, che loro amano nascondere tra il fieno, e poi portarle alle cucine.»

Si divertirono molto e terminarono il loro lavoro tutti ricoperti di fieno.

Un rintocco molto profondo di una grossa campana, annunciò che la lezione era terminata. Giulia, in effetti, si era chiesta come avrebbero fatto a rispettare l’orario, visto che erano privi di orologi. Tutti i loro oggetti elettronici erano rimasti in una stanza al di là della porta verde.

Si diressero verso l’aula uno, avevano lezione di “Teoria della Musicomagia” e Giulia era molto curiosa.

«Giulia!»

Si voltò, Pietro la stava chiamando con una nota di urgenza nella voce.

«Presto, corri!» Lo vide spuntare dalla porta delle stalle.

Corse verso di lui. «Che succede?»

La afferrò per la mano e la trascinò dentro, su un mucchio di fieno era appoggiato il suo uovo, già tutto venato.

«Sta per schiudersi.» Annunciò fiero e si gettò accanto all’uovo.

Con un vigoroso scricchiolio l’uovo si aprì a metà e videro una pallina di pelo color miele che si srotolava e allungava le sue zampette annusando l’aria tutto intorno.

«È un bellissimo canorso.» Filippo lo esaminò, aveva già denti aguzzi e artigli, ma teneva gli occhi chiusi e con quelle minuscole orecchie pareva una talpa. «È un maschio.»

«Tobi» annunciò Pietro orgoglioso, lo prese in mano per dargli un bacio sulla testa poi lo porse raggiante a Giulia e a Camilla che nel frattempo era arrivata.

Filippo gli diede alcuni consigli. «Fallo camminare fin da subito» si raccomandò. «Crescerà molto in fretta e non deve assolutamente abituarsi a essere portato in braccio.»

«Complimenti, è bellissimo» disse Giulia e anche Ciccio camminando sul suo braccio andò ad annusarlo per dargli il benvenuto.

Pietro era commosso, Giulia vide che aveva gli occhi lucidi, così si avvicinò. Le fece tenerezza, era raro vedere un ragazzo commuoversi. Capì che, dietro la facciata, doveva essere molto sensibile. Gli appoggiò la mano sul braccio, lui le sorrise un po’ in imbarazzo, ma poi allargò le braccia aspettando un abbraccio. Giulia non poté fare a meno di accettare l’invito, circondò il suo petto con un po’ di timidezza, ma lui la strinse vigorosamente ridendo e quasi la stritolò.

Giulia si sentiva il cuore gonfio di emozioni, poi si voltò verso Camilla e la incluse nell’abbraccio. «Adesso rimane il tuo uovo.»

 

Arrivarono all’aula uno per ultimi e si sedettero in fondo alla sala. Inaspettatamente trovarono ad attenderli la preside Orchestri anziché la professoressa Severini.

«Come ogni anno, avrò il piacere di introdurre io stessa la prima lezione di questa importante materia: Musicomagia» scandì fiera.

«Le azioni che riusciamo a fare con la musica dei nostri flauti possono essere paragonate a incantesimi di magia» spiegò loro. «Innanzitutto imparerete il potere generale di ogni singola nota. In seguito, tante piccole melodie che possono essere utilizzate per svolgere i vostri primi compiti.»

Giulia era entusiasta.

«Stamattina, per esempio, avete visto le muccoche; imparerete un semplice brano per mungere il loro latte. Poi la melodia per macinare il grano e quella per accendere il fuoco» continuò. «Nel giro di un mese, sarete in grado di compiere i più semplici servizi e presto vi insegneremo come inviare una lettera scritta ai vostri familiari. Essenzialmente, con la Musicomagia, facciamo a meno di tutti i congegni tecnologici che inquinano la nostra concitata vita, sostituendoli con incantesimi dolci e musicali.»

Alle nove, nell’aula accanto, ancora la preside Orchestri, presentò lo studio della sua materia, “Uso coscienzioso della tecnologia” e ripeté in qualche modo gli stessi concetti.

«La tecnologia sta soffocando la creatività delle menti umane. Capirete come distinguere la tecnologia buona, dettata dal progresso e dal miglioramento delle condizioni di vita, da quella che sostituisce o limita l’uso dell’intelligenza e dell’immaginazione.»

Mentre si recavano nell’orto per la lezione di botanica con il signor Giorgio, Giulia restò silenziosa a pensare a quello che aveva ascoltato nelle lezioni teoriche. Le parole della preside l’avevano toccata profondamente e sentiva di condividerle a pieno. Ricordava alla vecchia scuola, come i ragazzi si parlassero solo inviandosi messaggi con il telefonino e di come non riuscissero più a comunicare faccia a faccia, soprattutto a proposito dei loro sentimenti. Una sua compagna era stata lasciata dal suo ragazzo via messaggio.

Che tristezza!

Guardò Pietro senza farsene accorgere, stava facendo le coccole al suo Tobi che spuntava dalla borsa.

Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Lui era diverso dai ragazzi che aveva conosciuto fino ad allora.

Pietro alzò lo sguardo verso di lei e le sorrise. Giulia arrossì e tornò a guardare fisso davanti a sé.

 

Il signor Giorgio li condusse attraverso l’orto fino alla serra.

«Oggi proveremo a far nascere una margherita.»

Ognuno di loro ebbe un vaso con un semino.

«Dopo aver piantato il seme eseguirete questa semplice melodia.» Il signor Giorgio suono e una piccola piantina crebbe in modo strabiliante, il gambo si allungò e il fiore si schiuse.

I ragazzi rimasero senza fiato.

«Avanti, adesso provate voi.»

Camilla riuscì alla prima. «Bravissima, Camilla» si complimentò il signor Giorgio.

Anche Giulia riuscì, ma sbagliò qualche nota e il suo fiore crebbe un po’ curvo. Pietro fu un vero disastro, stava pensando alla lezione successiva: pattinaggio, così fece crescere troppo il gambo che si curvò e appassì senza neanche fiorire. I due gemelli lentigginosi fecero nascere due fiori sullo stesso gambo. Mentre Marco, il compagno di stanza di Pietro, fece sbocciare il fiore prima di far crescere il gambo.

«Complimenti a tutti, non dovete scoraggiarvi, in fondo è solo il primo giorno!»

Già, questo giorno sembra non finire mai… È ancora mattina?

 

La lezione di pattinaggio non fu poi così tragica come aveva temuto Pietro. La professoressa Diana li divise in due gruppi. «Chi sa già pattinare da questa parte. Gli altri stiano ben attaccati alla ringhiera. Per oggi dovrete semplicemente camminare senza cadere cercando di sollevare il più possibile i piedi da terra.»

Pietro guardò le ragazze con aria terrorizzata.

Poi la professoressa si rivolse al gruppo dei più esperti, tra cui c’erano Giulia e Camilla. «Vi insegnerò come partire velocemente da fermi da un punto qualsiasi della pista e come fermarsi completamente, pur procedendo a velocità elevata. Naturalmente dovrete indossare tutti protezioni e caschi.» Qualcuno tornò allo sgabuzzino. «Per bloccare la vostra corsa, dovete fare una mezza piroetta e mettere un pattino di traverso, così.»

Mostrò loro l’esercizio e i ragazzi iniziarono a provare. Ci furono molte cadute. Giulia possedeva un grande equilibrio e riuscì con facilità a imparare il meccanismo della frenata.

Alla fine della lezione la professoressa li richiamò. «Ora faremo una gara di velocità. Schieratevi qui.»

I ragazzi si prepararono.

«Pronti, via!»

Giulia partì, sfrecciò via velocemente e stracciò tutti, battendo il secondo di mezzo giro.

«Sembra che Giulia voli sulla pista!» commentò la professoressa Diana ammirata.

La preside Orchestri li attendeva nella sala musica numero uno. Fortunatamente era vicino al campo sportivo.

«Sono stanchissimo e ho un mal di gambe terribile.» Pietro si lamentò per tutto il tragitto.

Comunque anche Giulia fu felice di sedersi, era incredibile come una sola ora di pattinaggio le fosse parsa così lunga.

Impararono due brevi melodie da suonare ai loro animusi. Tutti sapevano suonare il flauto, ma alcuni non riuscivano a leggere la musica. Anche Giulia faceva confusione con la lettura delle note.

«Ti consiglio di frequentare il corso di recupero con la professoressa Severini nel tardo pomeriggio» le disse la preside.

 

A pranzo si abbuffarono tutti quanti, sembravano reduci da un naufragio. Dopo mangiato, andarono sul prato grande a suonare per i loro piccoli amici e a riposarsi.

Finalmente si è fatto più caldo, stamattina invece l’aria era già molto fredda, per essere ancora a settembre.

Ciccio si addormentò sazio e beato sulla pancia di Giulia che si sdraiò. Osservò il cielo, era di un azzurro intenso, molto scuro per la verità, ma il sole era strano. Nonostante fosse luminoso da non riuscire a guardarlo, sembrava più piccolo e la sua luce azzurrina.

«Fate largo.» Pietro si infilò prepotentemente tra le due ragazze sdraiate, portava in braccio il suo Tobi, lo sistemò sul suo petto e si sdraiò anche lui. Poi infilò le sue braccia sotto le loro teste appoggiate sul prato e le abbracciò. «Come stanno le mie ragazze?» Sorrise impertinente.

Giulia e Camilla si voltarono a guardarlo indispettite. «Che dici?» Camilla gli mollò una gomitata, mentre Giulia scosse la testa esasperata.

Lui rise divertito e regalò loro un bacio sulla guancia. «Vi prego non fatemi del male!» recitò disperato. «Sono stanco morto, non credo che arriverò alla fine della giornata.» E fece finta di svenire senza più muoversi.

Anche Giulia era stanca.

È bello ricevere tutte queste coccole…

Chiuse gli occhi e sprofondò in un piacevole torpore.

 

«Giulia! Pietro!» La voce di Camilla allarmata li costrinse ad aprire gli occhi e ad alzarsi. Giulia si rese conto imbarazzata che si erano addormentati abbracciati.

«L’uovo!» Finalmente anche l’uovo di Camilla stava per schiudersi.

«Presto, andiamo da Filippo.» I tre ragazzi si diressero di corsa verso le stalle.

All’interno c’era buio e ci volle un po’ perché i loro occhi si abituassero alla penombra. Sopra un mucchio di fieno videro una sagoma, si avvicinarono e scoprirono che era Filippo che dormiva. Provarono a chiamarlo e a scuoterlo leggermente, ma sembrava profondamente addormentato. Giulia ripensò alla notte precedente che il professore aveva passato nelle stalle a lavorare e quella mattina molto presto, era già in piedi, per mungere e nutrire le muccoche.

«Possiamo cavarcela da soli» disse sicura di sé. «Non preoccuparti Camilla. Ti aiutiamo noi.» Guardò Pietro in cerca di una conferma.

Il ragazzo annuì con fare rassicurante.

Appoggiarono l’uovo di Camilla sul fieno e rimasero ad aspettare. Si crearono varie spaccature e si intravide un piccolo batuffolo nero che spuntava. Allungò le zampette dietro, la testa spuntò da un altro buchetto, anche quel piccolo sembrava essere rimasto incastrato. Succedeva spesso, le aveva spiegato Filippo, perché i gusci degli animusi tutto sommato erano piuttosto resistenti.

Senza farsi prendere dal panico, Giulia suonò la stessa canzoncina con le note acute che aveva usato con Ciccio. Pietro e Camilla la seguirono copiando la posizione delle dita sul suo flauto.

Dopo pochi minuti, un piccolo gattufo con grandi occhi gialli si liberava dell’ultimo pezzo di uovo che gli era rimasto sulla testa come cappello.

Camilla smise di suonare, allungò le braccia e strinse a sé l’animale. «Che bella!»

«È una femmina?» chiese sorpresa Giulia.

«Sì, vedi? Ha la punta della coda bianca» spiegò Camilla. «Anche mia mamma ne aveva una, i maschi invece sono sempre tutti neri, la chiamerò Sofi.»

In quel momento il professore si svegliò alzandosi rapidamente un po’ allarmato e confuso. «Che succede? Scusatemi ragazzi, devo essermi appisolato…»

«Non ti preoccupare, è nata una bella gattufo» raccontò Giulia. Poi lo guardò: aveva un’aria stravolta. «Tu lavori troppo» lo rimproverò sorridendogli. «E noi ti aiuteremo.»

Giulia era contenta e fiera di come se l’erano cavata, di slancio abbracciò Filippo che ricambiò e si grattò la testa imbarazzato.

«E va bene, mi farò aiutare da voi.» Filippo sorrise. «Vi siete guadagnati il posto di aiutanti. Venite con me.»

I ragazzi lo seguirono entusiasti.

«Mi aiuterete con le muccoche e le gallicore. Questi compiti solitamente sono svolti dai ragazzi più grandi, ma voi siete davvero in gamba e sarete sicuramente all’altezza.»

Ciccio e Tobi uscirono per conoscere la loro nuova amica. Si annusarono, poi Ciccio si arrampicò sulla schiena di Tobi che correva felice di qua e di là, senza accorgersi del passeggero clandestino. I ragazzi risero divertiti.

Poco dopo arrivarono tutti gli altri ragazzi, le lezioni riprendevano nuovamente con “Cura degli animusi”. Così Filippo li divise ancora in gruppi, ma portò Giulia e Pietro in un’altra stanza, lasciarono Camilla a prendersi cura della sua piccola amica.

«Come vi dicevo stamattina» spiegò Filippo «questi animusi hanno bisogno di melodie in fa maggiore, quindi con il si bemolle in chiave.» Guardò i ragazzi. «Voi conoscete la posizione per il si bemolle sul flauto?»

I ragazzi annuirono, mostrò loro come eseguire soltanto la scala dal fa basso fino al fa alto, sostituendo il si con il si bemolle. Giulia e Pietro provarono un paio di volte, appena si sentirono sicuri cominciarono il lavoro.

Gli animusi pascolavano all’esterno in un recinto che dava verso l’orto. Al rintocco della grande campana i due ragazzi si scambiarono un’occhiata d’intesa. Avevano la gola secca per il gran suonare, ma si sentivano molto soddisfatti.

 

Si affrettarono a raggiungere gli altri nell’aula uno. La professoressa Severini li aspettava per la prima lezione di “Storia della Musicomagia”.

«Le origini della Musicomagia si confondono con la storia della musica stessa» spiegò loro. «Lentamente i primi uomini costruirono degli strumenti per imitare i suoni della natura e si accorsero che la musica riusciva a toccare la loro anima procurando un grande senso di benessere.»

«Troppo noiosa la professoressa...» si lamentò Pietro mentre uscivano dall’aula. «Davvero, sono stato costretto a schiacciare un pisolino.»

 

«Oggi impareremo una melodia per modellare il legno.» Poco dopo erano già tutti seduti nei laboratori artigianali ad ascoltare il signor Giorgio. «Costruirete una cuccia per il vostro piccolo animusi.»

Prima ascoltarono e impararono il semplice brano musicale. «Adesso immaginate esattamente quello che volete creare e poi prendete un pezzo di legno ciascuno.»

Il signor Giorgio mostrò gli effetti dell’incantesimo. Mentre suonava il flauto, il ceppo levitò e iniziò a vibrare. I suoi contorni si fecero sfocati e sotto gli occhi increduli dei ragazzi si trasformò in una piccola casetta di legno.

Anche quella volta Camilla non ebbe problemi e fece una graziosissima casetta con un buco tondo e un piccolo cuoricino intagliato sul tetto.

Pietro riuscì abilmente a sagomare il suo tronco a forma di cesto per il suo Tobi.

Giulia invece si trovò in difficoltà, avrebbe voluto fare una specie di piccolo nido da appendere, ma assottigliò troppo il legno che si spaccò a metà. Si sentì molto contrariata.

Povero Ciccio, rimarrà senza un nido.

Si alzò per accantonare il suo pasticcio, ma Pietro la fermò e si sedette accanto a lei.

«Aspetta, si può riparare» le disse dolcemente e suonò la melodia che avevano appena imparato. Abilmente, riuscì a modellare il legno ed eseguire esattamente ciò che Giulia aveva in mente.

«Grazie!» Giulia gli sorrise. Si sentiva strana, perché a lei solitamente non piaceva per niente farsi aiutare, ma Pietro aveva un modo di fare molto dolce. Non la faceva sentire inferiore, anzi era come se pensasse che fosse lei a fargli un favore, permettendogli di aiutarla. «Grazie anche da parte di Ciccio» aggiunse.

Sentendosi nominato, il piccolo batuffolino trotterellò fuori dalla borsa porta uovo e si avvicinò alla guancia di Pietro dandogli una leccatina con un leggero squittio.

La lezione successiva, “Studio degli animusi”, toccò ancora all’instancabile Filippo. «I primi Musimaghi, con una difficilissima e potentissima musica magica, crearono gli animusi da allevamento. Unirono in ogni esemplare le caratteristiche di due normali animali. Le muccoche, per esempio, sono frutto dell’unione magica tra le bellissime oche dal bianco manto piumoso e le prolifiche mucche da latte. In questo modo si ottengono i doni dei due importanti animali, da un’unica e utilissima creatura.»

Il rintocco della grande campana fu seguito dai piccoli e brillanti suoni della campanella della sveglia: le lezioni erano finite.

Andarono a mangiare della gustosa frutta dell’orto per lo spuntino. Giulia era stanca e un po’ frastornata dalle tante nozioni e informazioni così insolite che aveva immagazzinato. Quella scuola era veramente pazzesca, inoltre c’era quella costante sensazione di dilatazione del tempo. Ogni lezione durava mezz’ora sulla carta, ma sembrava sempre molto più lunga.

«Allora adesso cosa facciamo? Andiamo di nuovo ad aiutare Filippo?» Pietro si era un po’ ripreso, quando c’erano di mezzo gli animusi il suo entusiasmo saliva alle stelle.

«Io andrò a Pallasuono» dichiarò Giulia, era un po’ indecisa, perché in cuor suo avrebbe voluto andare anche lei dagli animusi, con Pietro… La Pallasuono, però, la incuriosiva, così si decise.

Camilla le aveva anticipato che assomigliava alla pallavolo, ma si giocava con una palla incantata, più piccola e leggera che si doveva guidare con il flauto. Non vedeva l’ora di provare.

«Ancora sport!» si lamentò Pietro. «No, io vado da Filippo.»

«Intanto la Pallasuono è solo per le femmine» spiegò Camilla. «Se proprio vuoi» disse divertita «più tardi c’è il Tornado che è riservato ai maschi. E sai? Si gioca sui pattini!» scherzò.

«Allora mi volete morto!» disse tragicamente fingendo di cadere, come se gli avessero sparato.

«Che pagliaccio!» Camilla scosse la testa.

«Sui pattini? Perché è riservato ai maschi?» chiese Giulia indispettita.

«Mah… Non so, mia mamma diceva che è uno sport un po’ duro» disse Camilla. «Credo che sia ritenuto troppo violento per le femmine.»

Giulia non rispose, ma si sentì infastidita, non sopportava quando c’era qualche discriminazione. Era profondamente convinta che una ragazza in gamba potesse fare le stesse cose di un ragazzo.

 

Si recarono al campo sportivo.

«Io, per questo primo allenamento, rimarrò a guardare.» Camilla si accomodò sulle gradinate.

Giulia era curiosissima di come si potesse giocare a pallavolo con il flauto, la salutò e corse verso il centro del campo.

Erano cinque ragazze, ovviamente tutte del primo anno, perché le allieve più grandi sarebbero arrivate il giorno dopo. Oltre a Giulia e a Valeria che aveva già conosciuto, c’era Laura, che sembrava la sua ombra, poi due cugine, Maria e Lucia, capelli castani lisci a caschetto, un po’ grassottelle, sembravano due gemelle.

«Conoscete tutte la pallavolo tradizionale?» chiese la professoressa Diana.

Le ragazze annuirono.

«Bene, allora oggi e domani lavoreremo sui fondamentali della Pallasuono con la Musicomagia

Presero i loro flauti.

«Indossate questo guanto nella mano sinistra, servirà per non farlo scivolare durante il gioco.»

Giulia vide che il guanto fissava il flauto alla mano, ma non dava nessun fastidio.

«Cominceremo con la battuta: do alto per quella a campana, mentre il re alto per quella tesa. A turno, una batte e le altre dall’altra parte ricevono con il do basso, ma prima dovrete spostarvi per avere la sfera ben posizionata davanti a voi.»

Provarono con buoni risultati per la battuta, mentre la ricezione si rivelò più complicata del previsto, non era facile correre con il flauto ed emettere una nota bassa con il fiatone.

«È stato fantastico! Mi sono divertita da morire.» Finito l’allenamento Giulia aveva raggiunto Camilla. «Dai, devi provare anche tu!»

«Va bene, ti prometto che domani farò una prova» promise l’amica.

 

Come le aveva consigliato la preside Orchestri, Giulia si recò alla lezione di recupero con la professoressa Severini. Camilla non ne aveva bisogno, aveva studiato due anni pianoforte, così fece un salto alla serra.

Giulia raggiunse poi Pietro da Filippo. Entrambi la accolsero con molto entusiasmo e Giulia si sentì felice e a suo agio come non le capitava da tempo.

Filippo li portò a vedere i cavalfanti, erano due enormi cavalli con tozze gambe da elefante. «Sono animali docili, ma fortissimi. Essendo così alti, però, sono pericolosi, perché a volte possono schiacciare qualcuno senza neanche accorgersene.»

Insegnò ai ragazzi come strigliarli a mano, finché non avrebbero imparato qualche melodia in sol maggiore.

 

Quando i due rintocchi profondi della campana della cena risuonarono nell’aria, i ragazzi faticarono ad arrivare alla Sala Comune. Giulia era esausta, considerando che la notte prima, (era solo la notte prima?) non aveva dormito molto, si stupì di riuscire a stare ancora in piedi. A tavola c’era molto silenzio. Tutti terminarono la loro minestra di fagioli, mangiarono la focaccia di sesamo e andarono dritti in camera a prepararsi per la notte. Buona parte delle uova si era ormai schiusa e le borse contenevano quasi tutte i nuovi cuccioli.

Il cielo stava diventando scuro, viola scuro. Giulia provò ancora quella strana sensazione di estraneità. Dopo essersi messa il pigiama ed essere tornata dai bagni si affacciò alla finestra. Pietro aveva promesso che sarebbe andato ad augurare buonanotte alle “sue ragazze”.

Infatti arrivò. Giulia gli sorrise, si stava affezionando a lui, era così espansivo e riusciva sempre a farla sorridere.

In quel momento, dietro a Pietro, vide nel cielo qualcosa che le fece sgranare gli occhi, rimase decisamente scioccata.

La luna che splendeva in cielo era troppo piccola e verdina, ma non solo. Un’altra luna, invece molto più grande stava sorgendo, spuntando dalla collina ed era inequivocabilmente rossa.

Giulia rimase bloccata con il respiro a metà.

«Che ti prende?» disse Pietro preoccupato. «Va beh che sono così splendido da lasciar tutte le ragazze a bocca aperta…» scherzò poco convinto. Seguì il suo sguardo, si voltò e allora capì.

Si avvicinò a Giulia e la scosse. «Vieni andiamo dalla preside Orchestri.» Lanciò uno sguardo a Camilla. «Mi aveva detto di portarla da lei, appena si fosse accorta…» e indicò le lune.

Giulia si lasciò condurre, un’altra volta, sul terrazzo e giù per le scale, fino all’ufficio della preside.

 

La preside la fece accomodare e le fece bere una tisana.

«Potresti gentilmente dare a Giulia la tua giacca in modo che possa stare più calda?» chiese a Pietro.

Giulia si sentiva come se stesse guardando la scena dall’esterno, una parte di lei era spaventata e incredula, l’altra invece trovava una conferma delle sue sensazioni.

«Come ormai avrai intuito» esordì la preside «Armonia non si trova sulla Terra, ma su di un pianeta lontano con due lune e che orbita attorno a una grande stella, una “gigante azzurra”» raccontò con voce pacata. «Questo sole sembra più piccolo perché effettivamente la distanza che lo separa da noi è maggiore rispetto a quella tra la Terra e il Sole.»

La preside riempì nuovamente la tazza di Giulia e fece una pausa forse per darle il tempo di metabolizzare tutte quelle notizie. «La porta verde è un portale interdimensionale attivato da una melodia a infrasuoni che l’orecchio umano non può udire. Le giornate durano molto di più, quasi il doppio e le stagioni sono invertite rispetto alla zona della Terra da cui proveniamo noi, infatti adesso è quasi primavera e l’inverno sta finendo. Le altre scuole sono distribuite tutte su questo pianeta e hanno accessi simili alla nostra porta verde, in altri paesi, in altre Fattorie Muse, sparse sulla Terra.»

Giulia rimase un po’ senza parlare. Pietro le circondò le spalle con il braccio e cercò di scuoterla. Dopo aver bevuto la sua seconda tazza di tisana, lentamente ritornò in sé, ma l’unica cosa che si sentì di chiedere alla preside Orchestri fu: «Perché non me lo avete detto subito?» La sua voce era appena un sussurro.

La preside spiegò. «Preferiamo che gli studenti se ne rendano conto da soli, per poi dar loro tutte le spiegazioni, quando la loro coscienza ha già cominciato a intuire qualcosa.»

Dopo un po’ di silenzio la preside li congedò. «Caro Pietro, potresti gentilmente accompagnare Giulia nella sua stanza?» Poi li rassicurò: «Domani, dopo averci dormito sopra, starà molto meglio.»

Giulia percorse la strada fino alla sua stanza sentendosi spersa. Immaginava di essere su di un minuscolo pianeta lontanissimo dalla Terra e da tutto ciò che conosceva, il braccio di Pietro sembrava l’unica cosa reale e concreta a cui aggrapparsi.

Come in un sogno salì le scale. Camilla, per combinazione, dormiva della grossa, così Pietro fu costretto a infrangere la regola, secondo la quale i maschi non potevano entrare nelle camere delle femmine, e varcò la soglia proibita della finestra.

La fece sdraiare e le si sedette accanto. «Va tutto bene» le sussurrò dolcemente. «Non devi preoccuparti di nulla.»

Ciccio, che era rimasto sul letto nella borsa, uscì immediatamente e si sistemò a dormire sul cuscino, vicino alla guancia di Giulia. Pietro rimase con lei finché non si addormentò, lasciandogli finalmente il braccio.

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